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Turismo Enoico in Toscana, Azienda Agricola Il Lebbio in San Benedetto Alto

REPORTERS - WINE 3 Marzo 2022 7 min read

“Torna indietro, fai un po’ di curve in salita e quando arrivi a i sudicio, volta a sinistra e mi trovi li.”

Ecco, questo è stato il primo, meraviglioso approccio con Luciano dell’azienda agricola “Il Lebbio” in località San Benedetto, San Gimignano. San Benedetto alto mi raccomando. Non basso perché Luciano si è più volte raccomandato del fatto che l’azienda è in alto non in basso. Dopo di sudicio insomma!

Non aspettatevi una azienda di quelle con la reception, il viale alberato, la sala degustazione, l’esposizione dei vini.

Luciano è Luciano e l’azienda è di quelle vere. Quelle di campagna che le puoi trovare nel momento di splendore, perché in tempo di vinificazione tutto deve essere lindo e pinto pena i batteri che assaltano l’uva e distruggono il vino, oppure in completo caos dovuto alla stagione morta. Febbraio è stagione morta per la vite e le cantine, quelle vere, devono rifarsi il trucco.

Ecco, io l’ho trovata così ma Luciano me l’aveva detto “troverai un po’ in disordine…”

Una azienda agricola, una vera, di quelle gestite a livello familiare, non può che essere così.

Arrivato all’azienda trovo Luciano impegnato con altri clienti a far assaggiare vino e inscatolare le bottiglie. Non c’è che lui dunque non è che uno si può aspettare il ricevimento.

Luciano è un omone di altri tempi. Mani grosse, un cappello di lana in testa, una abbondanza che sa di lavoro e fatica. Una persona schietta e buona che non ci pensa un attimo a farti vedere cosa fa con quell’orgoglio tutto toscano che si porta dietro. Spiegarti cosa fa e perché lo fa dispiacendosi che è un po’ tutto in disordine. Tutto tranne la barricaia che è pulita come deve essere.

Finito il giro ci accomodiamo in uno stanzino dove tiene l’esposizione delle bottiglie: una semplice mensola con sopra tutto ciò che produce.

Non c’è un tavolo ma un grosso pallet con sopra casse di vino. Un luogo suggestivo e schietto per provare il suo vino. Mica serve la prenotazione qui. Puoi mandargli una email e lui ti gira il suo telefono però se lo chiami magari è meglio, perché può esser che sia fuori a comprare il pane o impegnato nelle faccende che servono.

Mentre mi chiede se voglio provare qualcosa arriva un vecchio cliente (non di età ma di data) che ha bisogno del vino. Luciano non ci pensa due volte e coinvolge anche lui nella degustazione “o mica vorrai fa bere il signore da solo?”. “Il vino è stare insieme altrimenti non c’è gusto” rincaro la dose io.

Chiedo di assaggiare la Vernaccia. Siamo a San Gimignano e sono alla caccia di qualche Vernaccia di livello ma anche di qualcosa di vero.

Luciano stappa una bottiglia del 2021. La annuso ma i sentori non sono ancora definiti. E’ troppo giovane davvero. Quando la assaggio, anzi quando la assaggiamo, con il vecchio cliente ci guardiamo e conveniamo con uno sguardo che occorre farla riposare ancora un po’.

“Luciano io quelle del 2021 non le voglio. Mi devi dare quella del 2020” così dice il cliente di vecchia data. Come a dire “cosa stai facendo assaggiare?”.

Perdo la timidezza e confermo che questa non va bene.

Luciano, senza pensarci su va a prendere quelle del 2020. Ne stappa una e subito appare chiaro che si tratta di altra cosa. Bel color dorato, odori di frutta bianca, zafferano, iodio, fiori bianchi. Più roteo il bicchiere e più si sentono effluvi meravigliosi. Al palato ancora meglio perché la vernaccia si esprime in tutta la sua bontà: fresca, sapida, calda quanto basta. Ovviamente secca. Vien voglia di berla e berla perché è davvero notevole.

Questa è la versione base. C’è anche qualcosa di più importante “Tropie” ottenuta da uve selezionate. Il salto di qualità si sente. Eccome.

Apre poi una bottiglia di rosso. Un “Kerass” del 2015. Da uve Ciliegiolo che invece di fare da comprimario al Sangiovese per colorarlo, si esprime in tutta la sua freschezza da solo, dopo aver riposato almeno due anni in botti di rovere.

Il risultato è interessante. Non esaltante, non spaziale. Ma interessante per gli odori decisi di frutta e fiori e per la grande freschezza e morbidezza. Non riesce a farlo tutti gli anni perché non sempre il Ciliegiolo dà il meglio di sé.

Guardo sullo scaffale e c’è anche un Vin Santo. “Luciano, ma fai anche il Vin Santo?”. “Haivoglia” risponde lui andando meccanicamente ad aprirne una bottiglia versando così il prezioso nettare in un bicchierino.

Lo assaggio ed è poesia. Non ho qualcosa cui abbinarlo ma è secco e fresco ovvero possiede quella giusta acidità che non lo rende stucchevole. E’ sì tipico Vin Santo ma possiede aromaticità e freschezza che lo rendono bevibile anche senza pucciarci dentro i cantuccini.

Vado via con la mia cassa di vino contenente due bottiglie di Vernaccia DOCG, due Tropie una di Polito (che non ho assaggiato, ma la porto comunque via perché è un Sangiovese al 90% del 2016 che il cliente di vecchia data mi ha tanto raccomandato) e due di Vin Santo (una per la suocera che non guasta mai). Non vi dico il prezzo ma andate sul sito e non crederete ai vostri occhi. In positivo ovviamente.

Le colline intorno a San Gimignano sono uno spettacolo e aziende come queste, piccole, familiari, rustiche, vere sono la rappresentazione di ciò che il vino insegna: non servono fronzoli e orpelli ma tanta passione e concretezza. E’ questo che ho trovato qui. E’ questo che serve al vino: conoscere e andare oltre le apparenze. Dopo “di sudicio” insomma.

—

@ivan_1969

—

Due righe su San Gimignano e dintorni…

San Gimignano sorge su un luogo abitato sicuramente dagli etruschi, almeno dal III secolo a.C. Il colle era stato scelto per questioni strategiche, essendo dominante (324 m s.l.m.) sull’alta Val d’Elsa.

Sulle pendici del Poggio del Comune (624 m s.l.m.) sono presenti i ruderi di Castelvecchio, un villaggio di epoca longobarda. La prima menzione risale al 929.

Nel Medioevo la città si trovava su una delle direttrici della via Francigena, che Sigerico, arcivescovo di Canterbury, percorse tra il 990 e il 994 e che per lui rappresentò la 19ª tappa (Mansio) del suo itinerario di ritorno da Roma verso l’Inghilterra. Sigerico la nominò Sancte Gemiane, segnalando il borgo anche come punto di intersezione con la strada fra Pisa e Siena.

Secondo la tradizione il nome derivò dal santo vescovo di Modena, che avrebbe difeso il villaggio dall’occupazione di Attila.

La prima cinta muraria risale al 998 e comprendeva il poggio di Montestaffoli, dove già esisteva una rocca sede di mercato di proprietà del vescovo di Volterra, e il poggio della Torre con il castello vescovile.

Alla fine del XIX secolo si cominciò a riscoprire la particolarità e la bellezza della cittadina, che venne sottoposta integralmente a vincolo monumentale nel 1929. Nel 1990 è stata dichiarata dall’UNESCO patrimonio culturale dell’Umanità.

Durante la seconda guerra mondiale, il paese fu bombardato per dieci giorni dagli Americani; sulla Torre Grossa andò distrutta la campana (una nuova fu donata dopo la guerra dal popolo dell’Unione Sovietica); crollò una casa in piazza e un pezzo di cattedrale; i bombardamenti cominciarono di giovedì, giorno di mercato; questo causò qualche morto; una giovane madre fu colpita al piede da una scheggia, ed ebbe la gamba amputata.

Dopo una decina di giorni che i sangimignanesi passarono nei rifugi, il prete riuscì a convincere gli americani che in paese c’erano non più di dieci tedeschi, e che potevano assaltare la città senza correre rischi.

A proposito di ‘Campane’ , ma che lo sapete che prima di intonare i rintocchi…viene benedetta e la procedura l’è piuttosto lunga ? Se vi va di leggere, scoprite un pò di più cliccando su questa pagina dedicata alle campane nelle chiese.

Ritornando a San Gimignano…continuiamo a leggere su wikipedia: Quel che si ricorda di tale città son le torri…medievali che ancora svettano sul suo panorama, che le hanno valso il soprannome di Manhattan del medioevo.

Delle 72 tra torri e case-torri, esistenti nel periodo d’oro del Comune, ne restavano venticinque nel 1580 ed oggi ne restano quattordici, con altre scapitozzate intravedibili nel tessuto urbano.

La più antica è la torre Rognosa, che fu eretta all’inizio del XIII secolo. La più alta è la Torre del Podestà, detta anche Torre Grossa, di 54 metri.

Un regolamento del 1255 vietò ai privati di erigere torri più alte della torre Rognosa (che all’epoca era la più alta), anche se le due famiglie più importanti, Ardinghelli e Salvucci, fecero costruire due torri poco più basse di quasi uguale grandezza, per dimostrare la propria potenza.

Campanile della Collegiata di San Gimignano
Torri degli Ardinghelli
Torre dei Becci
Torre Campatelli
Torre Chigi
Torre dei Cugnanesi
Torre del Diavolo
Torre Ficherelli o Ficarelli
Torre Grossa
Torre di Palazzo Pellari
Casa-torre Pesciolini
Torre Pettini
Torre Rognosa
Torri dei Salvucci
In alcuni testi il numero delle torri è ridotto da 16 a 14: in genere vengono tolte dal conteggio il campanile della Collegiata e la Casa-Torre Pesciolini che hanno caratteristiche diverse dalle altre.

Prima di chiudere questa carrellata storica inseriamo anche ciò che concerne l’oggetto del magazine, ovvero la Vernaccia, vino bianco asciutto e armonico, si produce a San Gimignano da sempre ed era particolarmente apprezzato da Dante, Boccaccio, Ludovico il Moro e Lorenzo il Magnifico. Poi ci sono altri prodotti come lo Zafferano, i prosciutto, i Salame e la cinta senese. (Wikipedia)

———————–

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Tags: @ivan_1969 aroma azienda agricola bianchi campagna Cantine degustazione frutta Gimignano lavoro passione prodotti rosso san gimignano Sangiovese Toscana uva uve Vernaccia Vin Santo vini vino vino bianco

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